Scheda tematica: Processo per Stupro

Scheda tematica: Processo per Stupro

Paola Di Nicola, ne La Giudice, prende spunto dal famoso processo per stupro celebrato a Latina nel 1978, per raccontare come le donne siano state escluse dalle aule di giustizia, non solo come giudici ma persino come vittime.

Il processo del 1978, trasmesso in televisione sotto forma di documentario1, testimonia infatti la mentalità che ispirava “la linea difensiva seguita, all’epoca, in tutti i Tribunali d’Italia, ed evidentemente vincente, secondo cui la vittima è, a sua volta, moralmente colpevole, perché prostituta o complice consenziente” (p. 63).

La Vicenda

Nel 1978 una giovane di 18 anni, Fiorella, denunciò per violenza carnale quattro uomini di quarant’anni circa, fra cui Rocco Vallone, un suo conoscente.

Fiorella dichiarò di essere stata invitata da Vallone in una villa di Nettuno, per discutere una proposta di lavoro come segretaria presso una ditta di nuova costituzione, di essere stata sequestrata e violentata per un pomeriggio intero da Vallone stesso e da altri tre uomini.

Gli imputati ammisero spontaneamente i fatti al momento dell’arresto, ma interrogati successivamente, negarono tutto, infine, in istruttoria, dichiarano che il rapporto era avvenuto dopo aver concordato con la ragazza un compenso di 200.000 lire.

Il tribunale condannò Rocco Vallone, Cesare Novelli e Claudio Vagnoni ad un anno e otto mesi di reclusione, mentre Roberto Palumbo fu condannato a due anni e quattro mesi. Tutti e quattro gli imputati beneficiarono della libertà condizionale e furono subito rilasciati. Il risarcimento dei danni venne calcolato in due milioni di lire.

Il Processo

Il processo di Latina venne ripreso dalla televisione di Stato e fu mandato in onda dalla RAI, il 26 aprile 1979. Quella sera le televisioni italiane trasmisero lo spettacolo di una mentalità intrisa di maschilismo, capace di trasformare la vittima in istigatrice e quindi imputata.

Tina Lagostena Bassi

Tina Lagostena Bassi

In un’intervista del 2007, l’avvocata Tina Lagostena Bassi, difensore di parte civile, ha dichiarato:
“Ricordo che la gente era sconvolta, perché nessuno immaginava realmente quello che avveniva in un’aula giudiziaria, dove la giustizia era altrettanto violenta degli stupratori nei confronti delle donne. Era una violenza… uno proprio la sentiva, materialmente”.

La difesa di Tina Lagostena Bassi mette a nudo quella mentalità millenaria di violenza e sopraffazione maschile, che permette al giudice di consentire “domande tanto morbose quanto irrilevanti, toni sprezzanti nei confronti della vittima, atteggiamenti percepiti come scherzosamente complici tra gli uomini del processo, a prescindere dal loro ruolo, per la sola appartenenza al genere maschile” (p. 63).

Un esempio: “La violenza c’è sempre stata […] Non la subiamo noi uomini? Non la subiamo noi anche da parte delle nostre mogli? E come non le subiamo? Io oggi per andare fuori ho dovuto portare due testi con me! L’avvocato Mazzucca e l’avvocato Sarandrea, testimoni che andavo a pranzo con loro, sennò non uscivo di casa. Non è una violenza questa? Eppure mia moglie mica mi mena. È vero che siete testimoni? Siete testi? E allora, Signor Presidente, che cosa abbiamo voluto? Che cosa avete voluto? La parità dei diritti. Avete cominciato a scimmiottare l’uomo. Voi portavate la veste, perché avete voluto mettere i pantaloni? Avete cominciato con il dire “Abbiamo parità di diritto, perché io alle nove di sera debbo stare a casa, mentre mio marito il mio fidanzato mio cugino mio fratello mio nonno mio bisnonno vanno in giro?” Vi siete messe voi in questa situazione. E allora ognuno purtroppo raccoglie i frutti che ha seminato. Se questa ragazza si fosse stata a casa, se l’avessero tenuta presso il caminetto, non si sarebbe verificato niente” (Avvocato Giorgio Zeppieri).

 

 

Lo stupro nel Codice Penale italiano

In Italia il Codice Rocco (promulgato nel 1930) classificava i reati di violenza sessuale e incesto, rispettivamente, tra i “delitti contro la moralità pubblica e il buon costume” e i “delitti contro la morale familiare”. La violenza sessuale, in altre parole, non era considerata un’offesa contro la persona, ma contro una generica moralità pubblica, che non riconosceva alla donne nessuna autonomia nella sfera sessuale e relazionale2.

Il codice conteneva, inoltre, uno specifico articolo (art. 544, abrogato solo nel 1981) che ammetteva il “matrimonio riparatore3, per cui l’accusato di delitti di violenza carnale, anche su una minorenne, avrebbe avuto estinto il reato nel caso di matrimonio con la persona offesa.

Solo nel 1996 (legge n. 66, Norme contro la violenza sessuale), dopo diciannove anni di discussioni parlamentari, sono state totalmente rinnovate le norme contro la violenza sessuale ed è stato affermato il principio per cui lo stupro è un crimine contro la persona che viene coartata nella sua libertà sessuale, e non contro la morale pubblica. Oggi, il reato di violenza sessuale è disciplinato dall’articolo 609-bis e seguenti del codice penale. La disposizione penalistica punisce chiunque con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità costringe un’altra persona a compiere o subire atti sessuali.

Note

  1. Il documentario Processo per stupro fu mandato in onda per la prima volta il 26 aprile 1979 e fu seguito da circa tre milioni di telespettatori; a seguito di richieste di replica, fu ritrasmesso in prima serata nell’ottobre dello stesso anno e fu seguito da nove milioni di telespettatori. Fu quindi insignito del Prix Italia come miglior documentario dell’anno. Se ne conserva oggi una copia negli archivi del MOMA (Museum of Modern Art) di New York.
  2. Come risulta evidente dalle arringhe tramandate in Processo per stupro, il buon costume sociale negava la sessualità femminile, condiderando “per bene” le giovani che non avevano alcuna concezione sul proprio sesso e sulla sessualità e che si conservavano “intatte” fino al matrimonio.
  3. La doppia violenza del matrimonio riparatore fu smascherata, per la prima volta, nel 1965 grazie al gesto di una diciottenne siciliana, Franca Viola. Rapita ad Alcamo, in provincia di Trapani, Franca, rifiutò le nozze riparatrici e denunciò il suo rapitore, Filippo Melodia, e i suoi complici. Il caso sconvolse l’opinione pubblica italiana, in particolare quella siciliana: era la prima volta che una donna “disonorata” (non più vergine) si sottraeva alla consuetudine del “matrimonio riparatore”. Malgrado le intimidazioni e le difficoltà opposte dall’ambiente sociale, il processo contro Filippo Melodia e i suoi dodici complici si concluse nel dicembre 1966 con una condanna ad undici anni per lui, cinque assoluzioni e pene minori per gli altri.
  4. Legge 15 febbraio 1996, n. 66 “Norme contro la violenza sessuale

 

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